Una delle grandi novità della riforma sull’affidamento condiviso del 2006, in materia di separazione dei genitori ed affidamento condiviso dei figli, è rappresentata dalla piena equiparazione tra figli legittimi (nati in costanza di matrimonio) e figli naturali (nati da coppie di fatto, non coniugate). L’art. 4 della legge 54 del 2006, stabilisce infatti che le disposizioni della legge stessa si applichino anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o nullità di matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli nati da genitori non coniugati. È questo un principio importante che, attraverso l’applicabilità delle norme introdotte per la separazione ed il divorzio anche all’ipotesi di crisi di coppia non coniugata, porta alla totale parificazione tra figli nati dentro e fuori dal matrimonio, a prescindere dalle vicende e dalle scelte personali dei genitori.
Il diritto a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, principio cardine della nuova legge, deve oggi poter essere garantito a tutti i minori, senza alcuna sorta di discriminazione; regola generale è quindi, anche per i figli nati da coppie di fatto, quella dell’affidamento del minore ad entrambi i genitori, mentre l’affidamento esclusivo (ad uno solo dei genitori) potrà essere utilizzato dal giudice solo in via residuale, solo cioè qualora il rapporto con uno dei due genitori pregiudichi gravemente l’interesse, la crescita e l’equilibrio psicofisico del minore (ad esempio se la Cassazione con sentenza n. 16593 del 2008 ha considerato inidoneo all’affidamento condiviso il comportamento fortemente screditatorio nei confronti della madre, adottato da un padre che nelle accuse rivolte alla madre si era spinto a sostenere, senza alcuna giustificazione, l’omosessualità della donna, dovrebbe – il condizionale è d’obbligo – valere altrettanto principio nel caso di atteggiamenti che mirano a esautorare sistematicamente la figura genitoriale paterna agli occhi dei figli). La tendenza prioritaria oggi è quindi quella di investire i genitori di una paritaria e condivisa responsabilità nell’educazione, nella formazione e nella gestione della prole, a prescindere dall’esistenza o meno di un vincolo coniugale tra i due.
L’affidamento condiviso, come vedremo meglio in seguito, non può essere ricondotto al profilo del mero collocamento del minore presso l’uno o l’altro genitore, ma è invece strettamente collegato al tema della potestà genitoriale, intesa come il potere-dovere che fa capo ad entrambi i genitori, fino al compimento della maggiore età del figlio, consistente nel mantenere, educare i figli e curare i loro interessi patrimoniali. La legge di riforma prevede infatti che, in caso di affido condiviso, la potestà debba essere esercitata da parte di entrambi i genitori, con la condivisione delle decisioni di maggiore importanza (relative principalmente alla salute, all’educazione e all’istruzione, alla residenza del minore etc.) e sempre tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni dei figli. Per le questioni di ordinaria amministrazione invece (tali in quanto non incidono sulla crescita e sulla formazione del minore) il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente, in occasione del tempo trascorso con il minore. Ciò vale a ristabilire una condizione di equità nei ruoli, come durante il matrimonio o la convivenza tra genitori, dove ciascuno si occupa in modo autonomo delle esigenze quotidiane dei figli durante il tempo in cui questi sono con il padre o con la madre. Quindi in linea di principio si afferma il principio di bigenitorialità ma, si badi bene: affidamento condiviso non vuol dire affatto dividere a metà il tempo dei figli:
MIGLIORA LA QUALITA’ DEL TEMPO E NON LA QUANTITA’ DEL TEMPO CHE SI TRASCORRE CON I FIGLI in quanto ciascun genitore, durante il tempo che trascorre con i figli è, cioè, genitore a pieno titolo e non più un semplice “custode” temporaneo e del tempo libero dei figli, affidati esclusivamente all’altro genitore, come avveniva nel sistema di affidamento previgente.
Questione diversa dall’affidamento e dalla frequentazione è infatti quella del collocamento dei figli presso uno dei due genitori con conseguente assegnazione della casa coniugale. Secondo l’orientamento della Corte Costituzionale, la ratio del diritto di abitazione della casa familiare non deve essere ravvisata nell’attribuzione, ad un membro della coppia, del titolo per poter usare l’abitazione con la finalità di realizzare un personale vantaggio economico; l’assegnazione deve essere invece giustificata solo ed esclusivamente dall’interesse morale e materiale della prole alla conservazione della vita domestica e quindi, dall’interesse dei figli a non subire ulteriori cambiamenti derivanti dalla crisi familiare. Perciò, è il diritto dei figli a conservare una certa continuità e regolarità di vita l’unico motivo che possa portare a sacrificare il diritto di proprietà del genitore affidatario ma non collocatario. In un momento di intuibile difficoltà dei figli, quale è la separazione tra i genitori e la fine del rapporto di convivenza – generalmente con il padre, garantire loro un sicuro e immediato punto fermo e di sicurezza come l’ambiente domestico rappresenta certamente un giusto diritto dei minori, garanito appunto dall’istituto giuridico della assegnazione della casa in cui la famiglia ah stabilmente convissuto, a prescindere da chi ne sia il proprietario. Quindi è dal diritto riconosciuto in favore dei figli a vivere nella loro casa che deriva il privilegio abitativo in favore del genitore con il quale i figli restano stabilmente a convivere.
In realtà c’è anche da dire che non è tanto la Legge 54/2006 quanto la applicazione da parte dei Giudici a prevedere l’obbligo di stabilire un genitore “collocatario”, che, ripetiamo, è certamente condivisibile in linea di principio, purchè ciò non costituisca un elemento che tolga effettività e rilevanza agli altri elementi dell’affidamento: è più importante il rapporto di un bambino con le quattro mura della sua camera, ovvero dargli la possibilità di un vero rapporto di frequentazione anche con il genitore che deve uscire da quella casa? quando le risorse economiche e di reddito sono estremamente limitate o ridotte dai debiti (mutuo, prestiti etc.) si rischia, infatti, applicando, l’istituto della assegnazione della casa familiare, come troppo spesso avviene, ciecamente e con inaccettabili automatismi, di frustrare e finanche impedire di fatto una dignità genitoriale effettiva. Costringere un genitore ad uscire di casa continuando a pagare il mutuo, versare un assegno di mantenimento e trovarsi una diversa abitazione, possibilmente nei pressi della casa dei figli, sempre più spesso corrisponde a NEGARE la possibilità di avere una pari dignità rispetto all’altro genitore.
La legge sull’affidamento condiviso ha anche affrontato la fondamentale questione concernente l’individuazione del giudice competente ad adottare le decisioni relative al mantenimento della prole. Prima della riforma del 2006, le coppie di fatto dovevano rivolgersi al Tribunale per i minorenni per le decisioni relative all’affidamento dei figli, ed al Tribunale ordinario per la decisioni relative al mantenimento del minore. La legge del 2006 ha modificato la situazione, parificando anche processualmente la condizione dei figli nati dentro il matrimonio con quelli nati al di fuori (per i quali dunque era irragionevolmente necessario un doppio passaggio processuale), stabilendo che, oggi, devono essere prese dal Tribunale per i Minorenni tutte le decisioni che riguardano i figli di conviventi separati sia inerenti l’affidamento che il loro mantenimento. In questo modo (oltre ad essere stata data attuazione a il principio di concentrazione delle tutele e della ragionevole durata del processo) è stata, in particolare, soddisfatta l’esigenza di evitare che i minori ricevano un trattamento diverso dall’ordinamento a seconda che siano nati da genitori coniugati o meno.
Nonostante la legge di riforma abbia compiuto grandi passi in avanti, il cammino verso l’equiparazione della posizione dei figli legittimi e naturali, non può ancora dirsi completo. Il 16 maggio, il Senato ha tuttavia approvato un disegno di legge che, eliminando le diffenze rimaste tra i figli nati dentro e fuori il matrimonio, permetterebbe di parificare totalmente i figli naturali a quelli legittimi. Il testo era stato approvato anche dalla Camera, ma essendo stato modificato dal Senato, tornerà nuovamente alla Camera per una valutazione finale.
Con l’approvazione del disegno di legge lo status giuridico di figlio diventerebbe finalmente uguale per tutti:
- tutela dei rapporti di parentela che in passato non si estendevano, per le coppie di fatto, agli ascendenti e i cui vincoli non si instaurerebbero più solo con i padri e le madri, ma con le intere famiglie di origine, con conseguenze importanti anche sotto il profilo successorio. Infatti una delle più grandi discriminazioni presenti, ancora oggi, in Italia è quella di non considerare i nati fuori dal matrimonio come parte obbligatoria delle famiglie dei genitori;
- il disegno di legge prevede inoltre il trasferimento delle competenze dal Tribunale dei minori a quello ordinario, nel caso di controversie relative all’affidamento ed al mantenimento dei figli naturali.
Sta insomma per essere raggiunto un importante traguardo che permetterà la tanto attesa piena equiparazione tra le coppie coniugate e conviventi, quanto meno per quanto riguarda l’affidamento dei figli e i rapporti di filiazione!
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