DIVORZIO BREVE. una riforma giusta o sbagliata?
Il 24 aprile 2014, la Commissione giustizia della Camera, ha data il via libera al testo base del così detto “divorzio breve” con l’introduzione di una importante novità, destinata a rendere le procedure per ottenere lo scioglimento del matrimonio, decisamente più celeri. Il DDL in questione, proposto dagli onorevoli Alessandra Moretti (PD) e Luca D’Alessandro (FI), sintetizza le altre cinque proposte in materia dai diversi gruppi parlamentari (PD, FI, Sel, Movimento cinque stelle e PSI) e sarà destinato, in caso di sua approvazione, a velocizzare i tempi necessari ad ottenere lo scioglimento del matrimonio modificando, sostanzialmente, l’art. 3 dell’attuale legge sul divorzio, la n.898 detta Baslini-Fortuna (dal nome dei due parlamentari promotori). Tale legge, fu introdotta nel nostro paese, il primo dicembre del 1970 e quattro anni dopo, esattamente il 12 e 13 maggio 1974, furono depositate le firme in Cassazione per chiedere il referendum abrogativo della stessa: il referendum vide oltre l’87% degli italiani esprimersi contro l’abrogazione della legge predetta che venne così definitivamente confermata. Essa ha subito, nel corso degli anni successive modifiche, in particolare con le leggi 436/78 e 74/87 che ha ridotto i tempi necessari per addivenire alla sentenza definitiva. Attualmente l’art. 3 stabilisce che lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio (nel caso di matrimonio contratto con rito religioso), può essere domandato da uno dei due coniugi (o da entrambi in caso di divorzio congiunto), quando “è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale ovvero è intervenuta separazione di fatto quando la separazione di fatto stessa è iniziata almeno due anni prima del 18.12.1970. In tutti i predetti casi, per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono essersi protratte da almeno tre anni (prima erano cinque n.d.r.) a far tempo dalla avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del Tribunale”. Lo scopo del legislatore, con la separazione, è quello di mettere alla prova e verificare nel tempo la volontà dei coniugi di arrivare allo scioglimento definitivo del vincolo matrimoniale, che si ottiene solo con il divorzio.
Il DDL in discussione stabilisce, invece, la possibilità di divorziare dopo un solo anno dalla separazione e, in assenza di figli minori e con accordo consensuale dei coniugi, il periodo potrà essere addirittura più breve, cioè di soli 9 mesi. Il termine a partire dal quale dovranno essere calcolati i 12 mesi (o 9), decorrerà dal deposito della domanda di separazione in tribunale e non più dalla data dell’udienza di comparizione dei coniugi innanzi al presidente del Tribunale. Quanto allo scioglimento della comunione dei beni, inoltre, lo schema del DDL interviene sull’art. 191 del Codice Civile, precisando che la comunione dei beni si scioglie già nel momento in cui, in sede di udienza presidenziale, il giudice autorizza i coniugi a vivere separati.
Ci auguriamo che tale disegno di legge (che dovrà essere poi discusso alla Camera nel prossimo mese di maggio e passare poi al Senato), venga approvato in tempi ragionevoli, così da adeguare la legislazione italiana alle norme in vigore negli altri paesi europei e scongiurare così, quello che viene tristemente definito come un vero e proprio “turismo divorzile”: si tratta, infatti, di una pratica tristemente diffusa, ultimamente in auge anche nel nostro paese, da quando il Consiglio d’Europa nel 2006, ha stabilito che il divorzio può essere sancito in qualsiasi paese UE e poi riconosciuto da tutti gli altri stati membri. Si è assistito così, nel giro di pochi anni, ad un vero e proprio boom speculativo di richieste di divorzio rivolte a paesi europei quali, ad esempio, la Spagna e la Romania, dove nel giro di pochi mesi si riesce ad ottenere una pronuncia diretta di divorzio, ma che, poi, non è né economica, né automaticamente valida per far cessare gli effetti civili del matrimonio in Italia! Al riguardo infatti, il percorso tramite divorzio in uno stato membro prevede, comunque, la necessita da parte di almeno uno dei due coniugi, di trasferire la residenza nel paese, aprire un conto corrente ed avere una minima copertura assicurativa; inoltre al momento della trascrizione presso gli uffici di anagrafe italiana del provvedimento, che va prodotto all’ufficio con traduzione giurata, con ulteriori costi, c’è sempre la possibilità di un impedimento per qualche formalità mancante o pretesa dall’ufficiale del Comune, a fronte del quale occorrerebbe procedere ad un giudizio di delibazione della sentenza straniera presso la corte di appello italiana competente per territorio, onde farne riconoscere la validità nel nostro ordinamento. Con ovvia duplicazione dei costi e dei tempi.
Insomma, se il divorzio breve è giusto che ci sia, è bene farlo direttamente nel nostro paese.
Avv. Massimiliano Gabrielli
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