L’ombra della decisione della Cassazione sulla strage di Viareggio avvolge la strage del Mottarone.
Nessuna aggravante è stata difatti contestata per l’omicidio – al momento colposo – ascritto ai dipendenti ed al gestore dell’impianto teleferico, se non quella per l’omicidio plurimo in relazione all’elevato numero dei morti.
Eppure la funivia è anche un luogo di lavoro e per questo ci si sarebbe attesi di vedere applicato il secondo comma dell’art. 589 c.p., che prevede un significativo aumento di pena – da due a sette anni di reclusione – se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni lavoro (ed un raddoppio dei termini di prescrizione).
La ragione presumibile di tale scelta potrebbe risiedere proprio nella Sentenza sul disastro ferroviario di Viareggio emessa l’8 gennaio 2021 dalla Corte di Cassazione – con motivazioni non ancora depositate – che ha fatto cadere l’aggravante dell’infortunio sul lavoro, in quel caso contestata invece dalla Procura di Lucca e che aveva ricevuto conferma sulla sussistenza dell’aggravante dal Tribunale di Lucca prima e dalla Corte d’Appello di Firenze, poi.
Gli effetti immediati della decisione della Suprema Corte sono stati plurimi e di notevole portata: la caduta dell’aggravante sulle violazioni prevenzionali ha fatto scattare la prescrizione per le accuse di omicidio colposo – eccetto che per l’Ing. Moretti che vi aveva rinunciato, ha ridimensionato le responsabilità di tutti gli imputati e soprattutto ha spazzato via la responsabilità delle società del gruppo Ferrovie dello Stato ed RFI, altrimenti chiamate a rispondere ai sensi del Dlgs 231/01 per i crimini commessi dai propri dipendenti.
Gli effetti a lungo termine del principio di legittimità espresso in quella decisione sul disastro di Viareggio, pur in attesa delle motivazioni della Sentenza, confermano le nostre iniziali riserve e censure sia in diritto che per gli effetti sulle vittime, private della tutela derivante dalla applicazione della più severa disposizione normativa in tema di sicurezza, a tutto vantaggio degli imputati, chiamati a rispondere di un fatto meno grave.
Senza considerare l’ulteriore e, per certi versi, deteriore conseguenza ossia quella di mitigare, se non addirittura azzerare l’effetto deterrente ed esemplare del processo nei confronti delle società, spesso responsabili di politiche aziendali improntate alla ricerca del massimo profitto, anche ottenuto attraverso il risparmio in materia di sicurezza.
Del resto che il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte sul caso “Viareggio” paia inadeguato rispetto alla corretta qualificazione giuridica dei fatti lo si intuisce dalla scelta operata dalla Procura di Verbania, che pur avendo rinunciato – allo stato attuale – a contestare l’aggravante della violazione delle norme prevenzionali, ha tuttavia contestato la violazione dell’art. 437 c.p., che punisce “chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia”.
L’(apparente) incoerenza della struttura delle contestazioni elevate ai presunti responsabili della strage della funivia del Mottarone mette in evidenza i limiti del quid decisum della Corte di Cassazione e ripropone il nodo irrisolto della questione di fondo: la strage della funivia Stresa-Mottarone al pari di quella di Viareggio è oppure no un infortunio sul lavoro? La cabina e il treno sono oppure no uno strumento di lavoro per l’impresa?
Noi, siamo convinti che la risposta da un punto di vista giuridico possa e debba esser data in senso positivo, perché a bordo delle cabine operavano anche e prima di tutto i dipendenti della funivia stessa e per questo sosteniamo, ora come allora, che le norme antinfortunistiche vadano intese anche a tutela dei cittadini, esposti a un rischio del tutto assimilabile a quello a carico dei lavoratori.
Avv. Alessandra Guarini Avv. Massimiliano Gabrielli