Cosa fare quando si è vittime di condotte diffamatorie, ovverosia di offese alla nostra reputazione riferite da un soggetto ad altre persone quando noi NON siamo presenti.
Il fenomeno della diffamazione ha avuto una curva di crescita esponenziale dopo l’avvento dei cd. social media come facebook, instagram gruppi whatsapp etc., tanto da poter definire la nascita di una specificazione figura del reato, come DIFFAMAZIONE A MEZZO SOCIAL NETWORK, equivalente dal punto di vista penale, alla forma aggravata della diffamazione a mezzo stampa.
Purtroppo si sente parlare troppo spesso di diffamazione ma non è facile distinguere i comportamenti vietati dalla legge penale da quelli che invece rientrano nella diversa forma di ingiuria (oggi depenalizzata) o nell’esercizio del diritto inviolabile di manifestare liberamente il proprio pensiero.
Se da un lato ciascuno di noi può esprimere le proprie convinzioni come meglio crede, dall’altro non è consentito utilizzare definizioni e/o espressioni verbali lesive della reputazione e dell’onore di una persona non presente che, quindi, non ha possibilità di controbattere in sua difesa.
Allo stesso modo della libera manifestazione del pensiero, anche il diritto a mantenere integra la propria reputazione è inviolabile e appartiene indistintamente a tutte le persone in quanto tali.
Non a caso, il reato di diffamazione è considerato dalla legge penale come “delitto contro l’onore” e tutela degli aspetti più strettamente morali e sociali della personalità. Il concetto di onore è inteso in senso molto ampio e comprende sia un aspetto personale e soggettivo (il sentimento del proprio valore), sia un aspetto oggettivo (la reputazione di cui un individuo gode all’interno della comunità).
I comportamenti che integrano questo reato, pertanto, sono sanzionati dalla legge penale con pene che possono anche arrivare a tre anni di reclusione, come nel caso di diffamazione aggravata prevista dall’art. 595 co. 3 c.p.
La ragione per la quale, per le ipotesi più gravi, sono state previste pene anche abbastanza severe è intuibile, basti pensare alla potenziale diffusività delle offese pubblicate in rete attraverso l’utilizzo di social network o, più in generale, attraverso l’utilizzo di qualsiasi mezzo di pubblicità, quindi a disposizione di un numero indefinito di utenti, con conseguenze gravissime e devastanti per il soggetto diffamato e con risvolti di natura sociale e psicologica importanti, spesso difficili da gestire e superare.
Quello che, difatti, caratterizza e differenzia la fattispecie di reato in esame dalla c.d. “ingiuria” è proprio la comunicazione delle offese a più persone, almeno 2, e l’assenza del soggetto a cui le offese fanno riferimento. Anche il “pettegolezzo”, quindi, ove lesivo della reputazione della persona coinvolta, potrebbe integrare il reato di diffamazione.
L’ingiuria, invece, consiste in offese indirizzate in modo diretto al soggetto interessato, il quale è presente e può prendere immediata contezza delle parole utilizzate nei suoi confronti avendo quindi la possibilità di difendersi contrastando gli insulti e le accuse infamanti. Per tale ragione, l’ingiuria non è più reato ormai da diversi anni essendo stato depenalizzata con D.lgs. n. 7 del 15 gennaio 2016 in illecito civile, con la conseguenza che l’offeso avrà diritto solo ad un risarcimento del danno da doversi azionare in sede civile.
Ipotesi molto comuni di ingiurie sono, ad esempio, gli scontri verbali tra parenti, coniugi, e vicini di casa oppure tra avversari sportivi, politici in ambito lavorativo od in amore. Ma sono sempre più ricorrenti anche le ipotesi di offese tramite email, messaggi telefonici sms, social network, etc., in ragione del crescente utilizzo di questi mezzi nelle comunicazioni e scambi di opinioni tra persone, anche quindi nelle sue forme ingiuriose.
E’ sempre più comune per i cd. “leoni da tastiera” incorrere in offese anche pesanti ed attribuire ad altri del tutto gratuitamente od anche falsamente comportamenti anche di rilevanza penale o gravemente offensivi, integrando così molto spesso il reato da diffamazione su social network, particolarmente grave proprio perchè raggiungendo centinaia, a volte migliaia di utenti è altamente lesiva e con limitate possibilità di difendersi da parte della vittima, spesso ignara inizialmente delle offese o diffamazioni.
La diffamazione prevista dal codice panale all’art. 595 c.p. è un reato punito con la reclusione e la multa e la ragione è comprensibile: sebbene si tratti in entrambi i casi di insulti, epiteti, riferimenti oltraggiosi e accuse infamanti, nell’ipotesi di ingiuria queste vengono riferite direttamente al destinatario delle offese che, pertanto, ha possibilità di difendersi interloquendo con l’accusatore mentre, la diffamazione, per essere considerata tale, deve essere stata commessa quando la persona bersaglio non era presente, rendendo quindi impossibile il confronto e la possibilità del soggetto diffamato di difendere il proprio onore e la propria reputazione.
Tutto ciò premesso, va precisato che esistono più modalità con le quali può essere commesso il reato d diffamazione, ovverosia attraverso parole, gesti, disegni etc.
Ad esempio, dare del bugiardo, del ladro o del mafioso a qualcuno comunicando (verbalmente o per iscritto) con più persone in assenza della persona offesa oppure per mezzo della stampa o di un social network, senza dare prova della genuinità e veridicità delle proprie affermazioni.
Per quanto sgradevole, dunque, può capitare a chiunque di trovarsi nella condizione di voler querelare colui che ci ha diffamato. E’ necessario, però, conoscere bene l’iter da seguire, i tempi e i modi per ogni azione da svolgere onde perseguire lo specifico risultato che si vuole raggiungere, in particolare: la condanna dell’altro soggetto, il risarcimento del danno, e la cessazione della condotta diffamatoria, se legata ad un comportamento ricorrente.
E’ innanzitutto importante sapere che vi è un termine perentorio per la presentazione della querela: perentorio significa che decorso invano quel termine si perde il diritto di sporgere querela, e con esso ogni speranza di perseguire il colpevole, essendo la querela una condizione di procedibilità. Tale termine per il reato di diffamazione è di tre mesi dalla conoscenza del fatto diffamatorio.
Se si ritiene di esser vittima di condotte diffamatorie è altamente consigliabile rivolgersi fin dall’inizio ad un Avvocato, il quale è in grado di dare un esatto inquadramento alla fattispecie, individuando gli articoli del codice che si assumono violati, valutando la concreta possibilità ed utilità di sporgere una querela nei confronti del vostro offensore. Infatti, nonostante la legge consenta ai cittadini d provvedervi da soli, la stesura di una querela non è affatto una cosa semplice, e si rischia di renderla inefficace, anche quando redatta con l’aiuto dei Carabinieri od in Questura poiché spesso l’ufficiale a ciò preposto, avendo ricevuto già decine di denunce/querele in quella stessa giornata, potrebbe non prestare, come occorre, la massima attenzione. E’ quindi quantomai opportuno rivolgersi subito ad un professionista del diritto, affinchè la vostra querela contenga tutti gli elementi richiesti, una esatta indicazione delle fonti di prova e tutto ciò che è necessario ad orientare le indagini della polizia giudiziaria e del PM, l’osservanza dei termini e delle formalità prescritte per la sua presentazione e quanto altro fondamentale ai fini della procedibilità dell’azione penale; è inoltre fondamentale inserire nella querela le formule previste dal c.p.p. (ad esempio in merito alla comunicazione di un’eventuale richiesta di archiviazione del pm) al fine di esercitare i propri diritti nel processo ed evitare che la querela cada nel nulla di fatto a propria insaputa, finendo in prescrizione o archiviata
Circa il 65% delle querele proposte senza l’assistenza di un legale non portano ad un rinvio a giudizio del querelato.
Dunque, riassumendo, ecco 6 buone ragioni per ricorrere all’ausilio di un legale:
- innanzitutto, l’opera di analisi della vicenda fatta dall’Avvocato è particolarmente utile in una fase preliminare ovvero in relazione all’opportunità o meno di sporgere una denuncia/querela. L’iniziativa giudiziaria è, in ogni caso e per ogni persona di buon senso, un impegno e una responsabilità che dovrebbe essere affrontata quando davvero ne vale la pena e si hanno elementi che corroborano e provano le pretese punitive che nella denuncia/querela trovano la loro formalizzazione, per meglio argomentare i fatti storici e per individuare la documentazione da allegare;
- la valutazione preliminare di un legale è fondamentale anche, profilo da non sottovalutare, qualora non vi siano sufficienti elementi per provare la ingiuria subita, per evitare di esporsi inutilmente ad una controquerela per calunnia e quindi passare dalla parte di chi si deve poi difendere per evitare una possibile condanna;
- l’Avvocato può valutare meglio se, già in sede di querela, è opportuno o meno avanzare delle istanze che sono utili per la miglior difesa della vittima (ad esempio dei provvedimenti cautelati, ovvero la richiesta di essere avvertiti in caso di richiesta di archiviazione e la dichiarazione di opporsi all’eventuale emissione di un decreto penale di condanna);
- La querela scritta da un Avvocato è solitamente accompagnata dalla nomina dello stesso come difensore, il che implica che ogni notizia che deve esser notificata alla persona offesa, lo sarà presso lo studio del suo difensore, con ogni garanzia di conoscenza/ conoscibilità della notizia stessa;
- l’intervento di un difensore permetterà di monitorare tutto l’iter del procedimento che nasce dalla denuncia/querela. Si tratta spesso di un iter assai lungo, le cui notizie devono essere assunte presso gli uffici della procura e del tribunale, che ovviamente il difensore conosce meglio (si immagina) del querelante.
- infine, per particolari reati, ossia quelli di competenza del Giudice di Pace, come il reato di diffamazione nelle forme non aggravate di cui al co. 1 ed in relazione al fatto determinato di cui al co. 2, che qui interessa, la querela può essere sostituita dal ricorso diretto al Gdp che può costituire una alternativa molto efficace alla semplice querela, poiché invece che rimettersi completamente in mano alla Procura della Repubblica, è lo stesso Avvocato a compiere tutte le attività necessarie a portare il procedimento in aula dibattimentale, riducendo drasticamente i tempi per l’istruzione del processo a carico dell’imputato (le molte particolari formalità prevedono infatti l‘assistenza obbligatoria di un difensore). Dunque, è sempre opportuno consultare un difensore per avere l’esatta contezza della possibilità o meno di provvedere con ricorso anzichè con denuncia/querela.
E’ importante, inoltre, sapere che esser vittima di condotte diffamatorie da diritto anche al risarcimento dei danni patrimoniali e morali patiti. Invero, l’art. 185 c.p. stabilisce che: “Ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone, che a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui“. E per ottenere tale risarcimento si hanno due alternative:
- costituirsi parte civile nel processo penale
- intentare un’autonoma azione in sede civile
Ovviamente la scelta tra queste due strade dovrà essere valutata di volta in volta, tenendo conto degli elementi specifici del caso; anche in ciò, dunque, può essere essenziale il consiglio di un legale.
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ULTERIORI ELEMENTI DA CONSIDERARE NELLA QUERELA PER DIFFAMAZIONE
Cosa significa costituirsi parte civile in un processo penale?
Con l’atto di costituzione di parte civile si determina l’inserzione di una richiesta risarcitoria di natura privatistica nel processo penale, andando ad aggiungere al processo una parte facoltativa (il processo penale vede, infatti, come soggetti necessari solo lo Stato, rappresentato dal pm, e l’imputato). Con la costituzione di parte civile, il danneggiato dal reato, oltre a richiedere di essere risarcito per il danno patito, può anche partecipare al processo presentando testi, altri elementi di prova, memorie e consulenze.
Alternativamente, come detto, il danneggiato dal reato può instaurare un normale procedimento di cognizione per responsabilità da fatto illecito (contrattuale o extracontrattuale) innanzi al tribunale civile, il cui esito sarà peraltro indipendente dal procedimento penale, salvo che al momento dell’instaurarsi del processo civile, nel giudizio penale non sia già stata pronunciata sentenza di primo grado o vi sia già stata costituzione di parte civile (in tale ultimo caso, tacitamente revocata ex art. 82 c.p.p.).
Quali sono le conseguenze di una querela?
A seguito della presentazione della querela, la polizia giudiziaria compie tutti gli atti di indagine necessari alla ricostruzione del fatto e individuazione del colpevole, e ne riferisce al pm, con relazione scritta nel termine di 4 mesi; se la notizia di reato risulta fondata la polizia giudiziaria chiede l’autorizzazione a disporre la comparizione dell’indagato davanti al Giudice di Pace nelle ipotesi non gravi di diffamazione di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 595 c.p, mentre per le forme aggravate di cui ai commi 3 e 4 si procede innanzi al Tribunale attraverso la presentazione di una querela. Il pm se non ritiene di richiedere l’archiviazione del caso innanzi al Giudice di Pace o disponendo la citazione diretta a giudizio innanzi al Tribunale nelle ipotesi di cui all’art. 595 co. 3 e 4 c.p. A questo punto si terrà la prima udienza e, ove è competente il Giudice di Pace, quest’ultimo è tenuto, per i reati perseguibili a querela, ad esperire un tentativo di conciliazione dell’insorgenda lite tra le parti, in tal caso il giudice può rinviare l’udienza per un periodo non superiore a 2 mesi e ove occorra, può avvalersi anche dell’attività di mediatori; se la conciliazione riesce si redige espresso verbale attestante la remissione della querela, e la relativa accettazione. Se il tentativo ha esito negativo si arriva al dibattimento vero e proprio con l’assunzione dei mezzi di prova e finalmente la fine del procedimento con la pronuncia della sentenza da parte del giudice.
Come evidente, si tratta di un iter veramente lungo e stressante, rispetto al quale il ricorso immediato al Giudice di Pace rappresenta senz’altro un’alternativa conveniente in termini di tempo ma soprattutto di efficacia!!
Per i reati perseguibili a querela di competenza del Giudice di Pace, la legge offre, appunto, la possibilità di presentare ricorso immediato al giudice competente; questa strada offre la possibilità di accorciare i tempi, grazie al fatto che si ha un’atipica chiamata in giudizio dell’imputato non preceduta da indagini preliminari. In tal caso è obbligatoria l’assistenza di un difensore, in quanto il ricorso, al contrario della querela, non può essere predisposto personalmente dalla persona offesa; Ciò ci porta a concludere, che la strada più sicura ai fini del raggiungimento dell’obiettivo principale, rappresentato dalla punizione del colpevole, è sempre quella di rivolgersi immediatamente ad un avvocato in quanto o prima (per la stesura di una querela più efficace, o la predisposizione del ricorso) o dopo (per costituirsi parte civile ed essere, quindi parte attiva nel processo, ottenendo, si spera, il risarcimento dei danni) ne avremo sempre bisogno!!!!
ELEMENTI GIURIDICI DELLA DIFFAMAZIONE EX ART. 595 C.P.
Tale reato è disciplinato dall’art. 595 c.p., il quale consiste nel fatto di chi, comunicando con più persone, offende la reputazione di una persona non presente.
La pena prevista è quella della reclusione fino a un anno e milletrentadue euro. Se l’offesa riguarda un fatto determinato, la pena è aumentata fino a due anni ma la competenza resta del Giudice di Pace come nelle ipotesi di cui al comma 1.
La pena è ulteriormente aumentata fino a tre anni se l’offesa è stata recata con il mezzo della stampa o attraverso qualsiasi forma di pubblicità. In tal senso estremamente diffuse sono le offese perpetrate attraverso l’utilizzo di social network che, considerata la loro potenziale diffusività e conseguente danno per la vittima, restano di competenza del Tribunale in composizione monocratica.
Quanto all’elemento soggettivo richiesto per l’integrazione di tale reato, è sufficiente il dolo generico, e cioè la coscienza e la volontà del fatto costituito dalla pronuncia o scrittura di espressioni o dal compimento di atti ingiuriosi, con la consapevolezza della loro attitudine offensiva.
La diffamazione è un reato perseguibile a querela della persona offesa. Ciò significa, che la persona offesa, se vuole ottenere la punizione del responsabile, deve nel termine perentorio di tre mesi da quando ha ricevuto l’offesa o ha avuto conoscenza della diffamazione, proporre querela a pena di improcedibilità.
Ma cos’è una querela?
La querela, quale condizione di procedibilità, rappresenta una causa che eccezionalmente condiziona l’obbligatorietà del promuovimento dell’azione o l’irretrattabilità della sua prosecuzione. Invero, per querela si intende la manifestazione di volontà della persona offesa che si proceda in ordine ad uno specifico reato (artt. 336 e ss. c.p.p.).
I reati perseguibili a querela sono tassativamente indicati dalla legge. La ratio della punibilità a querela di alcuni reati dipende o dalla loro lieve entità, per cui il legislatore rinuncia ad attivarsi per fatti che presentano un disvalore sociale minimo, o perchè si tratta di reati di notevole gravità per la persona che al contempo, una volta resi pubblici, possono provocare un danno ulteriore rispetto a quello già subito dalla persona offesa.
Di regola la titolarità e l’esercizio del diritto di querela concidono in capo allo stesso soggetto: la persona offesa dal reato. Vi sono, tuttavia, delle eccezioni nel caso in cui offesi dal reato siano:
- i minori di anni 14 e gli interdetti per infermità di mente, per i quali il diritto di querela è esercitato dal genitore o dal tutore o da un curatore speciale nel caso in cui non vi è chi ne abbia la rappresentanza ovvero chi l’esercita si trovi con la medesima persona in conflitto di interessi.
- le persone giuridiche, dotate di personalità, in nome delle quali il diritto di querela spetta a colui che ne abbia la rappresentanza.
La querela va proposta entro 3 mesi dal giorno in cui la persona offesa dal reato ha avuto notizia del fatto che costituisce reato. Tuttavia, quando si tratta di determinati reati (es. violenza sessuale, stalking, ecc..), il termine per la proposizione della querela è di 6 mesi.
Quando si estingue il diritto di proporre querela?
Il diritto di querela si estingue per:
- rinuncia preventiva a proporre querela;
- decadenza per decorso del termine;
- morte della persona offesa, che può intervenire in realtà sia prima che dopo la proposizione della querela. Qualora la persona offesa dal reato muoia prima di aver proposto querela, il diritto di querela si estingue, e non si potrà più procedere contro il colpevole. Se, invece, la persona offesa dal reato muore dopo aver proposto la querela, il diritto non si estingue, e quindi si dovrà procedere contro il colpevole, salva la successiva remissione da parte degli eredi dell’offeso;
- remissione della querela, ossia una rinuncia al diritto di querela intervenuta successivamente al suo esercizio.
E’ possibile rimettere una querela già proposta?
La rimessione della querela può essere compiuta:
- dal querelante
- dagli eredi, in caso di morte della persona offesa dal reato.
La remissione può essere sia processuale, se viene fatta dinanzi al giudice, sia extraprocessuale, se fatta al di fuori del processo. Bisogna sottolineare che la remissione per avere efficacia deve essere accettata dal querelato, che se innocente potrebbe avere interesse a dimostrare attraverso il processo la sua completa estraneità al reato. La remissione ha l’effetto di estinguere il reato.