Reddito di cittadinanza e mantenimento dopo separazione e divorzio: pioggia di ricorsi in tribunale per la riduzione assegno di mantenimento a moglie e figli maggiorenni
Dal nuovo istituto del reddito di cittadinanza messo in atto dal Governo gialloverde, potrebbe derivare un inatteso e non considerato azzeramento dei diritti all’assegno di mantenimento su una enorme massa di ex coniugi separati e divorziati, e soprattutto su moltissimi figli maggiorenni che, non ancora indipendenti dai propri genitori, usufruiscono dell’assegno periodico erogato, nella stragrande maggioranza dei casi, dai padri separati.
Nel caso di coppie in crisi che intendono procedere alla separazione e soprattutto in caso di divorzio, il Giudice, prima di riconoscere un assegno al coniuge più debole potrebbe valutare il diritto al reddito di cittadinanza e richiedere, ad esempio, la prova dell’avvenuta iscrizione ai Centri per l’impiego.
Ma la nuova norma interesserà non solo le condizioni delle separazioni e divorzi futuri, ma anche quelle del passato: chiunque debba pagare un assegno di mantenimento o di divorzio potrebbe adesso chiederne l’eliminazione o la riduzione.
PASSAGGIO VOLONTARIO AL REDDITO DI CITTADINANZA
Introducendo nel nostro paese il reddito di cittadinanza, con il quale lo Stato si farà carico dell’indigenza dei cittadini tramite l’erogazione di una somma pari a 780,00 euro mensili, molte ex mogli che non lavorano potrebbero esser indotte a rinunciare al mantenimento più basso ricevuto dagli ex coniugi, e soprattutto molti figli maggiorenni di separati e divorziati potrebbero esser spinti ad uscire allo scoperto e accedere al percorso del reddito di cittadinanza.
In molti casi infatti, a fronte dell’erogazione di un assegno di mantenimento e/o assegno divorzile da parte dell’ex coniuge (mediamente 200-400 euro), ed il contributo al mantenimento per i figli di coppie separate o divorziate (quasi sempre ben al di sotto dei 500 euro ciascuno), la soglia di reddito minimo garantita dallo Stato, che è proporzionalmente aumentata in base al numero dei componenti del nucleo familiare, potrebbe arrivare anche a raddoppiare le entrate di una famiglia.
Nel caso ad esempio del nucleo familiare di una donna separata o divorziata con reddito inferiore a 9.360 euro, in presenza degli ulteriori requisiti per accedere al beneficio, questa potrebbe potenzialmente richiedere il reddito di cittadinanza, sollevando di fatto l’ex coniuge dall’onere di versamento dell’assegno mensile stabilito dal tribunale o in via consensuale.
Esiste poi una vasta popolazione composta da figli maggiorenni di coppie separate che, ultimato il loro percorso di formazione, non hanno ancora trovato una collocazione nel modo del lavoro e vivono grazie al sostegno mensile dei papà separati o divorziati. Anche per loro l’erogazione del nuovo contributo statale potrebbe esser valutato come una opportunità per usufruire di una somma mensile doppia o tripla rispetto a quella versata loro dal genitore non convivente.
La norma prevede però dei paletti “anti-bamboccioni“: un figlio maggiorenne è considerato comunque a carico della madre e del padre se ricorre anche solo una di tre condizioni: se ha meno di 26 anni, se è fiscalmente a carico dei genitori ai fini Irpef (ragazzi fino a 24 anni con reddito fino a 4 mila euro, e oltre i 24 anni con reddito massimo di 2.840 euro), ed infine la terza condizione, ma che pare davvero difficile possa reggere una prova di costituzionalità, ossia se pur non abitando più con loro, non abbia ancora, a sua volta, dei figli.
In altre parole una moglie separata/divorziata priva di reddito, ed i figli ultra 26enni di coppie separate che non hanno trovato ancora un lavoro, qualora l’ISEE glielo consenta, ed in presenza dei requisiti di legge, potrebbero decidere di rinunciare spontaneamente al mantenimento per accedere ad un reddito di cittadinanza più alto di quello attuale.
In questi casi sarebbe preliminarmente necessario stipulare un accordo di revisione delle condizioni di separazione o divorzio, o del mantenimento dei figli, attraverso la procedura di negoziazione assistita o con un ricorso congiunto al tribunale.
REVISIONI GIUDIZIALI
Ma non solo! Si apre infatti un possibile scenario processuale molto più ampio, che potrebbe portare a migliaia di ricorsi giudiziali in tribunale o separazioni di comodo attraverso la negoziazione assistita.
Anche l’ex coniuge, onerato del mantenimento, potrebbe infatti decidere di presentare un ricorso giudiziale per chiedere al tribunale la revisione delle condizioni di separazione o divorzio, dimostrando che l’altro coniuge versa nelle condizioni di accedere al sussidio di Stato e non abbia voluto, per inerzia, cogliere tale opportunità; in questo caso il giudice, pur volendo escludere ogni automatismo, non potrà non tener conto dell’esistenza di un diritto al reddito di cittadinanza, visto che il presupposto per ottenere l’assegno mensile di mantenimento a carico dell’ex – venuto recentemente meno ogni riferimento al tenore di vita durante il matrimonio – è proprio la mancanza di risorse adeguate al proprio sostentamento da parte del coniuge economicamente più “debole”.
Altrettanto vale per i cd. figli fannulloni: una realtà molto diffusa e che, senza falsa retorica, affligge migliaia di padri separati costretti per anni a versare l’assegno di mantenimento a figli maggiorenni che non lavorano e non studiano, pur avendone opportunità ed in molti altri casi lavorano ma “in nero”, nella pratica impossibilità di dimostrare (visto che l’onere della prova spetta al genitore non convivente) che sono loro a non aver fatto tutto il possibile per mettere a frutto le proprie capacità oppure per reperire una forma di sostentamento. L’accesso al reddito di cittadinanza potrebbe scardinare questi parametri e mettere la prole davanti ad una scelta obbligata, lasciare il divano ed il telecomando per fare ingresso nel mondo del lavoro ufficiale o rischiare che il tribunale dichiari lo stop al mantenimento.
Ma anche in ipotesi meno estreme, come nel caso in cui il figlio svolga lavori saltuari o temporanei, che non garantiscono entrate regolari e sufficienti a coprire le esigenze di vita quotidiane, l’entrata in campo del reddito di cittadinanza potrebbe integrare ed elevare quel reddito minimo, arrivando all’indipendenza economica dai genitori. Stabilita difatti una soglia legale del livello di sussistenza dignitosa – quella dei 780,00 euro ora accessibile a tutti – ogni figlio che abbia concluso il proprio percorso di studi e che non lavori, o non goda di un reddito adeguato, avrà adesso automaticamente la possibilità di mantenersi da sé.
LA CASA CONIUGALE
Un ulteriore profilo di enorme rilevanza sociale ed economica, connesso a cascata al raggiungimento della indipendenza economica dei figli, è quello della assegnazione della causa coniugale o familiare; tale beneficio, generalmente riconosciuto alle mamme, permane SOLO in ragione della convivenza con i figli minorenni o figli maggiorenni ma non provvisti, senza loro colpa, di sufficienti redditi propri. Pertanto, si avrà la revoca non solo nel caso di trasferimento del figlio in altra dimora, ma anche allorquando la prole abbia raggiunto la maggiore età e si sia resa economicamente indipendente dai genitori con un sufficiente grado di stabilità. In quel caso l’altro genitore, in molti casi proprietario esclusivo o comproprietario del 50% della casa coniugale, potrebbe chiedere la decadenza del diritto dell’assegnatario alla casa coniugale, nel momento in cui sia garantito ai figli un reddito sufficiente attraverso il beneficio statale.
LE FINTE SEPARAZIONI
vanno infine considerate le prevedibili ipotesi di abuso.
In molti potrebbero mettere in atto una “finta separazione“, per abbattere il reddito del nucleo familiare e poter accedere al reddito di cittadinanza.
Quando la separazione è ufficializzata dalla sentenza del Tribunale o dall’attestazione di separazione assistita, infatti, il nucleo familiare si divide, e di conseguenza gli ISEE diminuiscono di valore, agevolando la possibilità per i coniugi di ottenere il reddito di cittadinanza.
Simulando la crisi del rapporto di coppia in molti potrebbero ottenere, quantomeno per due/tre anni, il reddito di cittadinanza per uno dei coniugi o magari, anche per uno o più figli. Finora, nella bozza del provvedimento, si è letta solo qualche blanda misura anti-furbetti: «i coniugi permangono nel medesimo nucleo anche a seguito di separazione o divorzio, qualora continuino a risiedere nella stessa abitazione».
Sono stati inseriti emendamenti vari per arginare il fenomeno, ad esempio prevedere per le coppie in cui uno dei due partner ha cambiato la residenza dopo il 1° settembre 2018, l’obbligo di dimostrare la cessazione della convivenza attraverso un apposito verbale della Polizia Municipale con il quale viene verificato l’effettivo cambio di residenza.
Considerando come visto che oggi la separazione e divorzio si possono ottenere in tempi rapidissimi e senza nemmeno passare per il tribunale, è possibile che il fenomeno delle separazioni di comodo, fin qui già molto diffuso per ragioni fiscali o per accedere ad altro genere di benefici, trovi una più ampia e distorta diffusione anche sotto questo profilo.
Condividi:
- Fai clic per condividere su Facebook (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per condividere su WhatsApp (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per stampare (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per inviare un link a un amico via e-mail (Si apre in una nuova finestra)