Riflessioni sulla prescrizione nei reati di disastro: Viareggio

❌MORIRE BRUCIATI VIVI È MENO GRAVE CHE MORIRE IN UNA FRANA COLPOSA O IN UN NAUFRAGIO?❌

▶️ Ad oggi – quantomeno in base al regime di prescrizione dei reati – sembrerebbe essere proprio così: per il disastro ferroviario di Viareggio del 29 giugno 2009, che ha provocato la drammatica morte di 32 persone e stravolto la vita a decine di famiglie, che convivono ancora oggi con ustioni gravissime e ricordi devastanti, la Magistratura non è stata in grado di approdare ad una sentenza definitiva in 7 anni e mezzo, e per questa sola ragione una parte dei reati, tra i quali l’incendio colposo, saranno dichiarati prescritti nel corso dell’appello in svolgimento a Firenze – facendo svanire nel nulla una parte delle condanne pronunciate in primo grado, grazie all’applicabilità della prescrizione ordinaria a decorrere già da dicembre 2017. 

▶️ Partecipando ormai da alcuni anni con i miei colleghi di lavoro a diversi processi sui grandi disastri nazionali, l’incontro con i familiari delle vittime di Viareggio non ci ha lasciato indifferenti, non solo per via della terribile esperienza – per alcuni vissuta letteralmente sulla loro “pelle”, che porta i segni indelebili di quella notte – ma sopratutto per l’impegno collettivo che queste persone hanno dedicato all’accertamento della verità, all’affermazione delle responsabilità penali senza derive di giustizialismo o vendetta, e per il sostegno che – come associazione “29 giugno – il mondo che vorrei” – hanno offerto ad altre vittime di disastri, ferroviari e non, spostandosi con le loro magliette bianche su e giù per i Tribunali di mezza Italia; una naturale empatia e senso di solidarietà personale e professionale che si è ravvivata ieri sera quando li ho rivisti sul servizio Tv delle “Iene” parlare di una delle strenue battaglie che, negli ultimi anni, stanno conducendo sulla prescrizione, tanto che nell’incontro mesi fa con il neo ministro Bonafede, questo gli promise un intervento sull’istituto della prescrizione con una norma che avrebbe chiamato “Legge Viareggio”, e tutto ciò nella piena, consapevole e cosciente certezza, da parte loro, che ogni modifica che aumenti o interrompa il corso della prescrizione dei reati, non potrà mai avere effetto retroattivo e quindi non avrà alcuna efficacia sul processo che li riguarda. Ma, come bene rispondono: “le stragi non finiscono con noi” ed a prescindere da come la si pensi personalmente, politicamente e/o da giuristi sulle riforme in corso di discussione sull’istituto della prescrizione, mentre ero oggi in aula penale ad attendere per ore e pazientemente il mio turno di udienza a Civitavecchia per tutt’altra vicenda, ho sentito il bisogno di tornare ad approfondire e riscrivere dall’inizio questa brutta storia, umana e processuale.

✅ Tutto nasce dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 143/2014 con la quale è stata dichiarata l’illegittimità dell’art. 157 co. 6 cod. pen., per contrasto con l’art. 3 Cost., nella parte in cui prevedeva il raddoppio dei termini di prescrizione con riferimento ad una delle fattispecie di disastro colposo di danno, ossia l’incendio colposo (art. 449, in relazione all’art. 423), sul presupposto di un irragionevole trattamento punitivo – sul piano dei termini di prescrizione – superiore a quello delle rispettive ipotesi dolose, contrassegnate da un più intenso disvalore soggettivo (a seconda che l’incendio sia appunto realizzato con dolo o per colpa, pur restando entrambe le fattispecie identiche sul piano oggettivo). 

▶️ Difatti la durata del termine di prescrizione del delitto colposo di danno – calcolato con il meccanismo del raddoppio in forza del 6^ comma dell’art. 157 cp – nel caso di incendio, finisce per essere superiore (fino a 15 anni = 12 anni +1/4 in presenza di atti interruttivi) a quella del termine di prescrizione del corrispondente reato in forma dolosa – calcolato tramite la regola generale ai sensi del 1^ comma (7 anni ricavabili dalla pena massima dell’art. 423 Cp). 

▶️ E così secondo la Corte Costituzionale, come avviene nel calcolo edittale della pena, graduando il rapporto tra ipotesi più grave e ipotesi meno grave, ciò dovrebbe necessariamente riflettersi anche sulla durata dei termini di prescrizione che, dal punto di vista sostanziale, contribuisce a definire il complessivo regime penale dell’illecito, determinandosi nel caso di incendio colposo una sperequazione «vistosa» ed irragionevole, arrivando addirittura a ribaltare la normale scala di gravità tra titolo doloso e colposo. 

▶️ Risultato è stata la «demolizione» parziale – da parte della Corte Costituzionale – del criterio del raddoppio dei termini di prescrizione ex art. 157 comma 6, previsto nelle fattispecie di disastro colposo di danno, come per l’appunto l’incendio, frana, naufragio e anche disastro innominato, inserito dal legislatore in sede di riforma, allo scopo di attenuare il fenomeno di diffusa compressione dei termini di prescrizione conseguente all’entrata in vigore della Legge 251/2006 (c.d. ex Cirielli): il fine del legislatore era del tutto voluto e legittimo, in quanto il nuovo criterio di calcolo previsto dalla ex Cirielli, in mancanza di un correttivo, avrebbe comportato la drastica riduzione dei termini di prescrizione dei disastri colposi da dieci a sei anni, sino ad un vero e proprio dimezzamento (da 15 a 7 1/2) per effetto degli atti interruttivi.

▶️ Il meccanismo di raddoppio dei termini di prescrizione – quale causa estintiva del reato (istituto giuridico che a sua volta risponde ad una duplice ratio: il progressivo affievolirsi nel tempo dell’allarme sociale destato dall’illecito; il maturare in capo al reo di un diritto all’oblio per il fatto commesso, superato un limite soglia di punibilità) era stato difatti ritenuto necessario, in relazione ad alcuni tipi o classi di reati (come quelli di disastro e pericolo per la pubblica incolumità, appunto), sulla base di due semplici considerazioni:

  • la sussistenza di un allarme sociale particolarmente intenso da determinare una «resistenza all’oblio» più che proporzionale all’energia della risposta sanzionatoria;
  • la complessità delle attività probatorie necessarie ad accertare il reato, in sede di indagini preliminari o in giudizio, nelle sue componenti oggettive e soggettive.

▶️ Tali peculiari giustificazioni – del tutto condivisibili in reti da disastro come quello di Viareggio del 2009 che – per l’appunto – hanno conseguenze devastanti e impongono indagini lunghe e complesse, però – sempre secondo i giudici delle Leggi – non potevano valere per il trattamento prescrizionale che l’art. 157 co. 6, nella parte poi dichiarata illegittima, finiva per determinare con riguardo all’incendio colposo, o per meglio dire, stando alle parole della Corte, entrambe risultavano “del tutto inadeguate” a sostenere uno squilibrio tanto macroscopico quale il sovvertimento di un ben determinato rapporto di disvalore tra fattispecie.

▶️ E fin qui si poteva pure condividere la tenuta logica della decisione che affermava l’illegittimità per violazione dell’art. 3 Cost. di una parte dell’art. 157 co. 6 c.p., a causa del  potenziale rischio di avvantaggiare processualmente l’imputato di incendio doloso rispetto all’ipotesi di contestazione dello stesso reato, ma in forma colposa.

✅ Peccato però che la stessa Corte Costituzionale, con due altre più recenti sentenze (sentenza n. 112/2018 e sentenza n. 265/2017), e veniamo al punto focale di questa breve digressione, abbia creato nel nostro ordinamento, una DISPARITA’ di trattamento non meno aberrante, e decisamente più irragionevole dei motivi che avevano portato all’incostituzionalità appena commentata, oltre che essere sostanzialmente e profondamente INGIUSTA. 

▶️ Succede infatti che l’efficacia “demolitrice” dell’art. 157 6^ comma c.p., a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale del 2014, non si è estesa automaticamente a tutti i reati di disastro colposo, pur indicati nella norma, ma solo alla fattispecie sulla quale la Corte si pronunciava incidentalmente, e solo su quella, ossia per il delitto da incendio (in quel caso il giudizio a quo rimettente trattava di un disastro colposo con incendio di un magazzino); e così, al fine di parificare l’anomalia di trattamento, altri solerti avvocati sollevavano la questione di illegittimità costituzionale del meccanismo di raddoppio del termine di prescrizione anche in relazione ad altre due fattispecie di disastri colposi (nel primo il Tribunale il Teramo aveva condannato due soggetti per il delitto di “frana colposa”, punito ai sensi dell’art. 449 c.p., in relazione all’art. 426; nel secondo il Tribunale di Napoli aveva affermato la responsabilità degli imputati per il delitto di “naufragio colposo”, previsto dal medesimo art. 449, in relazione all’art. 428), certi di pervenire alla pronuncia di incostituzionalità della norma anche per questi ulteriori reati di danno, ontologicamente equivalenti a quello di incendio colposo e tutti indicati nella norma penale già dichiarata, ma solo parzialmente, incostituzionale.

▶️ Ed i giudici a quibus – in entrambi i casi come avvenuto in quello da cui è poi scaturita la sentenza 143/2014 – chiedevano alla Corte di intervenire per rimuovere una «anomalia di carattere sistematico», caducando in parte qua l’art. 157 co. 6 e restituendo i termini di prescrizione di TUTTI i delitti colposi di danno alla disciplina ordinaria, fonte per questi ultimi di un trattamento più mite di quello delle corrispondenti fattispecie dolose, come già era avvenuto per il reato di incendio colposo.

▶️ Ma questa volta, del tutto inaspettatamente, la Corte Costituzionale andava in direzione opposta, e si è pronunciata positivamente, per due volte consecutive in pochi mesi, sulla piena legittimità costituzionale della disciplina della prescrizione in materia di delitti contro la pubblica incolumità e, in particolare, dell’art. 157 co. 6 c.p., nella parte in cui stabilisce che i termini di prescrizione per i delitti colposi di danno (art. 449 c.p.) sono raddoppiati!

▶️ L’elemento distintivo che la Corte pone a sostegno delle due pronunce sta, verrebbe da dire “udite.. udite..”, in un dato strettamente “numerico” e cioè nel fatto che nei delitti di frana, naufragio e anche disastro innominato, per effetto del meccanismo del raddoppio, il termine di prescrizione è sostanzialmente parificato tra ipotesi colposa e dolosa, mentre per l’incendio colposo risultava superiore a quello dell’ipotesi dolosa; tanto bastava alla Corte per disinnescare la suggestiva presenza di un ingombrante precedente di illegittimità ed escludere la violazione dell’art. 3 Costituzione a fronte dell’effetto di equiparazione dei termini di prescrizione che l’art. 157 co. 6 determina rispetto a queste diversi delitti: «nella sentenza 143 del 2014 non si [era] in alcun modo prospettata una inderogabile esigenza costituzionale di scaglionare i termini prescrizionali in senso inverso rispetto a quanto la legge n. 251 del 2005 aveva fatto con riguardo al delitto di incendio: nel senso, cioè, che occorra stabilire, senza possibilità di eccezioni, per l’ipotesi colposa un termine diverso e più breve di quello valevole per la versione dolosa del medesimo reato».

▶️ IN ALTRE PAROLE la Corte Costituzionale afferma che sarebbe consentito al legislatore uno certo spazio di libertà discrezionale nell’introdurre deroghe alla regola generale della prescrizione, modificando la durata dei termini, aumentandoli o riducendoli rispetto al generale principio di proporzione tra gravità del reato e tempo necessario a prescrivere, perché poi, in generale, «a differenziare la fattispecie dolosa da quella colposa, assicurando la proporzionalità del trattamento sanzionatorio al disvalore del fatto, provvede la pena»; tuttavia, per restare in termini di legittimità, secondo queste ultime decisioni, si può arrivare a pareggiare ma non superare il conteggio.

✅ E si arriva così, attraverso questo delicato “sofismo numerico-giuridico, a stabilire di fatto che, nel nostro sistema legislativo e processuale, morire bruciati vivi in un disastro per incendio colposo, è vicenda meno grave e meritevole di trattamento sanzionatorio generale più mite per il reo – comprendendo in ciò anche un regime di prescrizione del reato in soli 7 anni e mezzo (come per un abuso edilizio), rispetto al caso di chi muoia a causa di una frana o per chi perda la vita a causa di un naufragio colposo, operando di fatto un giudizio di bilanciamento difficilmente condivisibile – privilegiando il diritto all’oblio del colpevole, rispetto all’interesse pubblico all’effettività di una risposta punitiva dello Stato.

▶️ Eppure tutti i reati di disastro colposo presi in esame dalla Corte, compreso quello di incendio, sono assolutamente omogenei e per tutti ricorrono – indistintamente e senza alcuna ombra di dubbio – le sopra enunciate esigenze, poste alla base della originaria scelta del Legislatore quando decise di introdurre l’effetto di raddoppio del computo prescrizionale: allarme sociale particolarmente elevato per via della lungolatenza degli effetti dannosi degli illeciti, e medesimo grado di difficoltà/complessità delle attività di indagine ed istruttorie per l’accertamento del fatto tipico, anche avendo riguardo all’elemento soggettivo, che peraltro può ritenersi sostanzialmente equivalente sia in caso di ricerca della responsabilità a titolo doloso che colposo.

✅✅ IN CONCLUSIONE è evidente che il vulnus venutosi a creare  nel nostro ordinamento interno con l’effetto “curativo” della sentenza n.143/2014, sia decisamente peggiore della denunciata “anomalia di carattere sistematico” che aveva provocato la dichiarazione di illegittimità costituzionale del meccanismo di raddoppio dei termini di prescrizione nel caso di incendio colposo, finendo per garantire il diritto degli imputati in modo più armonico ed esteso rispetto al diritto delle vittime all’accertamento delle responsabilità nei disastri colposi, determinando peraltro una ingiusta ed inaccettabile disparità di trattamento tra vittime dei disastri, e nelle responsabilità penali accertabili con minor rischio di prescrizione nei processi sui disastri navali che seguo e quelle punibili in questo disastro ferroviario.

▶️ Unico correttivo possibile nel “vuoto” normativo così delineatosi (e che peraltro non finisce qui visto che nell’ambito dei delitti contro la pubblica incolumità si danno ulteriori ipotesi in cui – previa applicazione del meccanismo del raddoppio – il delitto colposo si prescrive in un tempo più lungo del delitto doloso), è un auspicabile, prossimo ed urgente intervento legislativo sull’art. 157 co. 6 c.p., che stabilisca una parificazione generale di “chiusura” nei termini di prescrizione massimi tra i reati dolosi e quelli colposi per tutte le fattispecie, ovvero, ancora più semplicemente, il raddoppio dei termini di prescrizione anche per la ipotesi di incendio doloso. La riforma “ponte” della prescrizione, allora, nell’attuale ed oggettiva impossibilità di garantire tempi processuali rapidi e certi, più che bloccare i termini all’esito del primo grado (condannando così non solo gli imputati, ma anche le vittime e le parti civili ad un processo penale senza fine), dovrebbe, forse, partire proprio da un intervento estensivo sui termini di prescrizione, per poi intervenire sull’organico giudiziario e le strutture per abbreviare i tempi del processo.

▶️ La prescrizione è il tema caldo di questa ennesima stagione di riforme, in un sistema giudiziario e legislativo, connotato da continui interventi provenienti da più fonti, costituzionali, primarie, interne e comunitarie, ma sempre e solo a “spot”, che dimostra tutta la sua inadeguatezza strutturale e normativa nel garantire, in tempi certi ed effettivi, la capacità punitiva e deterrente dello Stato contro la commissione non solo dei reati dolosi ma anche e sopratutto di quelli colposi, considerando che gli effetti di questi ultimi sono quasi sempre di portata economica, sociale e morale, estremamente più ampia e catastrofica dei primi, eppure efficacemente contrastabili attraverso una adeguata prevenzione.

▶️ Prevenzione sui disastri nei grandi trasporti che troppo spesso viene elusa perché semplicemente non conviene alle aziende, a fronte dell’ampia probabilità di schivare le condanne penali e stante l’esiguità dei risarcimenti tabellari sui cd. “danni attesi”, che, tradotto in termini non economici ed imprenditoriali, sarebbero poi molto più semplicemente “i morti”.

Massimiliano Gabrielli – Avvocato in Roma


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