Nei procedimenti per violenza sessuale di gruppo (art. 609 octies c.p.) il giudice non è più obbligato a disporre o mantenere la custodia cautelare in carcere degli indagati, dovendo valutare la possibile applicazione di misure cautelari alternative.
E’ quanto hanno stabilito i giudici di piazza Cavour, interpretando estensivamente la sentenza n. 265/2010 della Corte Costituzionale.
La sentenza della Cassazione: In base a tale interpretazione la Suprema Corte ha annullato un’ordinanza del Tribunale del Riesame di Roma che aveva confermato il carcere, definendolo l’unica misura cautelare applicabile, per due diciannovenni indagati del reato di cui all’art. 609 octies c.p. compiuto nei confronti di una minorenne del frusinate, rinviando il fascicolo al medesimo giudice affinche’ questo compia una nuova valutazione tenendo conto della pronuncia della Cassazione.
Bisogna tornare pero’ al 2009, quando il Parlamento ha adottato un decreto poi convertito in legge per contrastare il crescente e sempre piu’ intollerabile fenomeno della violenza sessuale sulle donne. In base a tale legge, i giudici (salvo che non vi fossero esigenze cautelari) erano obbligati a disporre la misura extrema della custodia cautelare in carcere per i reati di violenza sessuale e atti sessuali con minorenni, nei confronti della persona raggiunta da gravi indizi di colpevolezza. La Consulta, investita della questione, ha ritenuto tale legge contrastante con gli articoli 3 (uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge), 13 (diritto di liberta’ personale) e 27 (funzione rieducativa della pena) della Costituzione e ha detto si alle misure alternative al carcere “nell’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure”.
Orbene, il 1 febbraio la Cassazione ha stabilito che i principi interpretativi fissati dalla Corte Costituzionale per i reati di violenza sessuale e atti sessuali sui minorenni sono “in toto” applicabili anche alla violenza sessuale di gruppo, dal momento che quest’ultimo reato “presenta catatteristiche essenziali non difformi” da quelle che i giudici della Consulta hanno individuato per i reati di natura sessuale sottoposti al loro vaglio.
La Cassazione ha concluso affermando: “ unica interpretazione compatibile con i principi fissati dalla sentenza della Corte Costituzionale, e’ quella che estende la possibilita’ per il giudice di adottare misure diverse dalla custodia carceraria anche agli indagati sottoposti a misura cautelare per il reato di violenza sessuale di gruppo”.
La sentenza della Cassazione ha suscitato immediatamente un battage mediatico, in cui la reazione piu’ diffusa pare essere l’indignazione, non solo delle donne, vittime per eccellenza di tali reati…
Unanimi i commenti di disapprovazione nel mondo della politica: “E’ una sentenza che non condivido. Che ritengo sbagliata. Come donna e come tecnico del diritto.” Sono le parole di Giulia Bongiorno; Per la deputata del Pd Donata Lenzi “E’ un ulteriore spinta al silenzio per le donne che subiscono violenza”; e ancora la Carfagna, ex ministro per le pari opportunita’ la definisce “una sentenza impossibile da condividere, contro le donne, che manda un messaggio sbagliato”; e ancora Gabriella Moscatelli (Presidente di Telefono Rosa): “Un ennesimo passo indietro dove a rimetterci e’ la parte piu’ debole, ossia le donne vittime di violenza”.
Ma c’e’ anche chi condivide la pronuncia degli ermellini, affermando “stupisce che intorno a una decisione che non fa altro che confermare elementari statuizioni di minima civilta’ giuridica, si possa scatenare un vergognoso battage mediatico che alimenta, con il solito effetto di corto circuito, le piu’ bieche pulsioni giustizialiste”, cosi’ si e’ espressa l’ Unione Camere Penali. Per l’ UCPI ” In ogni stato di diritto l’indagato e’ da considerare innocente sino alla sentenza definitiva. Proprio per questo, la misura della custodia cautelare in carcere e’ un istituto che deve trovare la sua applicazione in casi assolutamente eccezionali e l’indagato ha il sacrosanto diritto di attendere la definizione della vicenda processuale nella quale e’ coinvolto, in stato di liberta’, qualunque sia il delitto che gli venga attribuito”.
Pur trovandoci in disaccordo con la sentenza in oggetto, riteniamo opportuno chiarire la complessa questione, offrendo un allargamento di orizzonte.
Iniziamo col dire che per questo tipo di reati le pene detentive previste sono senza dubbio e giustamente non lievi, le quali pero’ possono essere applicate (ovviamente), come in ogni altro caso, solo con il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, ovverosia quando la affermazione penale di responsabilità dell’imputato ha raggiunto la sua definitività.
La sentenza di cui discutiamo riguarda, invece, il tema piu’ specifico delle misure cautelari, ossia quelle misure, come la custodia cautelare in carcere, che possono essere adottate dal giudice prima del processo o durante lo svolgimento di esso, al fine di evitare che durante il tempo, più o meno lungo, necessario per la sua conclusione, si corra il rischio di compromettere l’esplicazione dell’attivita’ giudiziaria penale, pregiudicandone lo svolgimento ed il risultato.
Il nostro ordinamento consente l’applicazione delle misure cautelari solo se ricorrono due presupposti:
- l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza.
- l’esistenza di esigenze cautelati:
- pericolo di inquinamento della prova
- pericolo di fuga
- pericolo di reiterazione del reato, per pericolosita’ sociale della persona indagata o imputata
Esistono diverse misure cautelari e indubbiamente la piu’ grave delle misure coercitive e’ la custodia cautelare in carcere, ma ve ne sono anche altre, che pur comportando una sorta di detenzione, sono piu’ attenuate, tipicamente: gli arresti domiciliari. Il giudice puo’, dunque, scegliere la misura cautelare piu’ idonea ed adatta in relazione al caso concreto, ma nel compiere una simile scelta deve ispirarsi ai criteri della adeguatezza e della proporzionalita’, tenendo altresi’ conto della “regola” che vede nella custodia cautelare la extrema ratio del sistema. Cio’, appunto, sino al 2009, quando il Parlamento con la Legge n. 38/2009 ha eliminato questa possibilita’ di scelta, limitatamente ad alcuni reati, tra cui quello che qui interessa, di cui all’art. 609 octies c.p.; in sostanza, per taluni reati di natura sessuale anche in presenza di una lieve esigenza cautelare, i giudici erano sempre obbligati a disporre la misura della custodia carceraria. In altri termini: presunzione assoluta di inadeguatezza di misure alternative.
Questa soluzione e’ stata disattesa dalla sentenza della Cassazione di cui stiamo trattando ed appunto, il giudice torna ad avere la possibilita’ di scegliere anche una misura piu’ lieve della custodia in carcere, anche in relazione al reato di violenza sessuale di gruppo.
Nessuna impunita’ dunque, come qualcuno erroneamente pensa e come travisato da alcuni notiziari… Ma il recupero di uno spazio per una piu’ ponderata valutazione da parte del giudice nel momento in cui non vi e’ una condanna definitiva!
La decisione è certamente impopolare ma da un punto di vista giuridico e garantista non c’è da gridare allo scandalo. Al contrario, la sentenza della Cassazione riconduce a canoni di legalità una frettolosa legge, formulata con eccessi di incostituzionalità, spinti dall’onda populista. Il precetto che vuole garantire all’indagato la giusta presunzione di innocenza fino alla sentenza definitiva, non può valere per certi reati e non per altri. Ed il carcere preventivo non può essere utilizzato strutturalmente come anticipazione della pena, in un paese come l’Italia con il 43% dei reclusi è in attesa di giudizio.
In casi di conclamata responsabilità e pericolosità del soggetto, quindi, il giudice potrà (rectius dovrà) continuare ad applicare la misura restrittiva in carcere in attesa della celebrazione del processo, mentre in vicende dai contorni meno definiti, ben sarà possibile ed opportuno adottare delle misure meno inflittive della libertà personale delle persone (quale gli arresti domiciliari), che garantiscono adeguata tutela per la ns. società contro i pericoli di inquinamento prove, reiterazione del reato e fuga.