Il tribunale penale di Biella
Il tempio degli orrori
Quando il 26 ottobre 2018 i Carabinieri hanno effettuato un blitz presso il tempio crematorio di Biella avevano già visionato i filmati fatti di nascosto e sapevano dell’esistenza di gravi irregolarità nella gestione delle procedure di cremazione, ma non si aspettavano probabilmente di trovare resti umani in scatoloni abbandonati e 240 kg tra ossa e ceneri non smaltite; al fine di accelerare il numero delle cremazioni, diversi corpi venivano bruciati insieme, con la conseguenza che le ceneri consegnate ai parenti nelle urne cinerarie venivano mescolate, mentre in altri casi venivano buttate dentro contenitori dell’immondizia indifferenziata nei pressi del cimitero, e le urne consegnate ai parenti contenevano parti di sabbia.
L’impianto crematorio di Biella, gestito dalla SOCREBI Srl (Società Cremazione Biella) è stato sottoposto a sequestro preventivo e Alessandro Ravetti, amministratore della società e figlio di un noto imprenditore funebre locale, ha trascorso un lungo periodo in custodia cautelare in carcere, con accuse gravissime quali la distruzione di cadavere e violazione di sepolcro, gestione pericolosa di rifiuti ed istigazione alla corruzione, ma potrebbero aggiungersi anche altre ipotesi di reato, e sopratutto altri soggetti, a seguito della denuncia da parte delle centinaia di famiglie potenzialmente coinvolte in questo macabro tempio degli orrori.
L’imminente chiusura delle indagini svolte dalla Procura di Biella sul caso Tempio Crematorio, mi consente di svolgere alcune prime considerazioni sui percorsi processuali che attendono i vari protagonisti della vicenda.
Gli Inquirenti hanno raccolto prove a dir poco schiaccianti nei confronti della famiglia Ravetti e dei loro dipendenti (stando alle notizie trapelate tramite media, i video girati per settimane di nascosto, le intercettazioni e infine le confessioni da parte di praticamente tutti i protagonisti principali), e riteniamo intendanoin questo senso inchiodare velocemente tali soggetti alle loro gravi responsabilità.
Oltre agli indagati “principali”, l’azione della Magistratura ha aperto un vero e proprio vaso di Pandora sul “sistema Ravetti” delle cremazioni e l’inchiesta, anche a seguito delle denunce-querele presentate dai legali Codacons, si è estesa su altri soggetti ed enti, evidenziando ampie e verosimili responsabilità di contorno al fianco di quelle dirette del gestore del servizio cimiteriale.
Tempio Crematorio: lo scenario processuale e le azioni a tutela delle vittime
IL PUBBLICO MINISTERO, avendo ricevuto la maxi querela e verosimilmente centinaia di altre, dovrà verificare la fondatezza delle accuse mosse nei confronti di tuti i possibili soggetti coinvolti, ad esempio, sul tema degli omessi controlli da parte dei soggetti istituzionali preposti, tra i quali presumibilmente figurano un dirigente ed un funzionario del Comune di Biella (responsabili degli omessi controlli sulla concessionaria).
Al momento della chiusura indagini, quindi, il PM dovrà fare innanzitutto una scelta: procedere ad una richiesta di rinvio a giudizio ordinaria, oppure ricorrendone i presupposti e selezionando le posizioni degli indagati sui quali ha in mano prove solide ed incontestabili, riterrei possibile che formuli una richiesta di giudizio immediato, previsto dall’art. 453 c.p.p., che è caratterizzato, tra le altre cose, dalla necessaria evidenza della prova a carico degli indagati.
Non per tutti, difatti, la prova può definirsi documentale e raggiunta in modo “evidente”, e per questo sarebbe necessario, o quantomeno opportuno, procedere con una normale richiesta di rinvio a giudizio, passando per l’udienza preliminare e l’eventuale rito dibattimentale ordinario.
A quel punto, in un procedimento penale “bis” confluirebbero quindi le posizioni di tutti gli altri indagati, e su questi la Procura potrà formulare una autonoma richiesta di rinvio a giudizio, oppure chiedere l’archiviazione di quelle per le quali non ritiene di aver individuato una responsabilità penale.
GLI INDAGATI, dal canto loro, tramite la stampa sembrano aver già manifestato con chiarezza le scelte difensive.
I soggetti che dovessero finire nel giudizio immediato, o che, comunque, fronteggiano una condanna certa e pene severe rispetto alle gravi contestazioni mosse dalla Procura, faranno senza dubbio estesamente ricorso ai riti alternativi, al fine di diminuire per quanto possibile la pena finale. I dipendenti Socrebi chiederanno il cd. “patteggiamento”. La famiglia Ravetti e/o vertici della Socrebi, faranno richiesta di “rito abbreviato”.
Gli altri indagati, che finiranno nel procedimento “bis”, o nei confronti dei quali manca una prova evidente, difficilmente faranno le stesse scelte, stimando che, al contrario, affronteranno il normale percorso processuale, maggiormente garantista per le difese, con la più ampia possibilità – tipica del dibattimento ordinario – di fornire prove a discarico di ogni genere.
LE PARTI OFFESE: i relativi percorsi difensivi sono anche per loro molteplici. Nell’eventuale richiesta di giudizio immediato il PM, dovendo fornire una prova evidente e diretta, con ogni probabilità indicherà solo poche decine di parti offese, cioè i familiari delle salme interessate dai video girati dagli investigatori, ma ciò ovviamente non esclude la possibilità di costituzione come parte civile nel processo penale (sia nel patteggiamento che nell’eventuale giudizio abbreviato), anche per tutte le altre famiglie che hanno commissionato alla Socrebi una cremazione nel periodo “sospetto”, e cioè – come sembra aver confessato lo stesso Alessandro Ravetti – a partire dal marzo-ottobre 2017, fornendo elementi di prova della propria legittimazione come i verbali di cremazione che presentano numerose anomalie, i risultati delle indagini difensive e l’eventuale ispezione delle urne sulla natura delle ceneri.
Una cosa però è certa: le famiglie che hanno presentato querela non accettaranno un ruolo da spettatori e di esser messe da parte, lasciandole così nell’incertezza su quanto accaduto ai loro cari nel periodo “sospetto”, e proporranno una ferma ed immediata opposizione ad ogni ipotesi di archiviazione di massa sulle loro istanze.
Il primo interesse e l’aspettativa per tutti i familiari è, difatti, quello di partecipare attivamente al processo penale, al fine di fornire il proprio apporto probatorio al Giudice, raccontare la storia di ciascuno e la sofferenza conseguente alla notizia dei crimini commessi in danno dei loro cari, contribuendo all’accertamento della verità ed all’affermazione delle penali responsabilità a carico di tutti, ma proprio tutti, i soggetti che hanno consentito delle condotte tanto orribili e continuate nel tempo.
Dal primo filone, in caso di immediato, ci si può pure aspettare l’eventuale liquidazione di una prima provvisionale, che, in caso di riti alternativi, coinvolgerebbe patrimonialmente però solo direttamente gli imputati e non anche, a titolo di responsabilità civile, la società e gli enti nella loro qualità di datori di lavoro, ma è sempre possibile che si approdi al riconoscimento di un diritto generico al risarcimento, rimandando poi al giudice civile la determinazione della somma spettante a ciascuna parte lesa.
Nel secondo filone processuale (o nell’ipotesi di una richiesta di rinvio a giudizio “classica”), viceversa, è pienamente legittima l’aspettativa che, a fronte del rinvio a giudizio di un dipendente comunale o della seab, gli stessi enti siano condannati nella loro qualità di responsabili civili ai risarcimenti a favore delle vittime.
A seguire delle scelte e decisioni della magistratura penale, insomma, seguirà ogni eventuale valutazione ed azione per i familiari delle vittime, nella ferma pretesa di partecipare al processo penale.
Massimiliano Gabrielli – avvocato in Roma
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